Avevo chiesto anni fa all’Archivio di Belluno se potevano dirmi qualcosa dei Savi di Soverzene. Questo perché mio padre, quand’era ancora in vita, raccontava che i Savi erano i discendenti di un giovane nobile, forse emiliano, che a causa della condotta non proprio irreprensibile era stato consegnato dal padre alla Repubblica di Venezia, la quale lo mandò al confino nel Bellunese, a Soverzene appunto. La cosa sembrava plausibile, forse il capostipite non sarà stato nobile, ma stava di fatto che tutti i Savi di cui ero a conoscenza o abitavano a Soverzene o da Soverzene erano partiti.
Il “mito di fondazione” non è una cosa legata solo alle famiglie nobili del medioevo che erano tutte troiane, è ben presente anche nella mitologia politica novecentesca. Non cito esempi lampanti, sia di “destra” che di “sinistra”, perché devo sempre tener conto la possibilità che qualcuno mi stia a leggere. Detto questo, fatto sta che anche i Savi di Soverzene nel loro piccolo avevano un “mito di fondazione”.
Che non ha retto a una semplice ricerca archivistica. Ecco in allegato la lettera dell’archivista. “I Savi risultano presenti nella zona di Longarone solo dalla seconda metà del ‘700, mentre sono presenti più massicciamente a Feltre e Belluno già dal ‘500”. Insomma, non solo nessuna origine nobiliare, ma pure nessuna origine peculiare da Soverzene. Comunque, anche se misconosciuto in questi tempi di circolazione globale, il rapporto con le proprie radici territoriali e familiari rimane sempre qualcosa di importante.
Lettera dell’Archivio di Stato di Belluno |