Oppenheimer ed Einstein
Albert Einstein e Robert Oppenheimer all'Institute for Advanced Study di Princeton, anni Cinquanta (US Government Defense Threat Reduction Agency, public domain via Wikipedia).

Gli inizi

Julius Robert Oppenheimer (1904-1967) è considerato senza ombra di dubbio uno dei più grandi fisici teorici americani del XX secolo. Eppure non è ricordato tra i grandi nomi che durante la sua generazione hanno fondato la fisica quantistica (Heisenberg, Dirac…) né ha mai vinto il Nobel; il maggiore contributo alla scienza che oggi gli viene riconosciuto non riguarda la fisica nucleare bensì l’astrofisica. In fondo, Oppenheimer viene universalmente ricordato come “il padre della bomba atomica”, titolo (o epiteto) che però a ben vedere non gli compete.

Per iniziare, bisogna considerare le origini, contemporaneamente ebraiche e tedesche, di Robert Oppenheimer (esempio raro negli Stati Uniti, era conosciuto con il secondo nome e non con il primo, spesso omesso oppure abbreviato in J puntato). L’immigrazione degli ebrei tedeschi negli Stati Uniti nella seconda metà dell’Ottocento è un elemento interessante della storia economica e sociale di questo paese. Nonostante tutti i suoi enormi sforzi attuali per apparire “all-inclusive”, la società americana proviene da una profonda e radicata tradizione di razzismo. Oppenheimer non accettò mai pienamente la sua identità di “ebreo”, ma ci pensarono i suoi concittadini a ricordargliela: la società americana, ai tempi di Oppenheimer, era ancora dominata dall’élite W.A.S.P. (White, Anglo-Saxon, Protestant). Viene il dubbio che il tradizionale razzismo americano, almeno negli strati medio-alti, si sia stemperato guarda caso quando l’élite ha iniziato a non essere composta solo dai discendenti dei coloni anglosassoni, ma anche da elementi di differente provenienza etnica.

Uno dei biografi di Oppenheimer, il filosofo Ray Monk, nel primo capitolo del suo libro su Oppenheimer, fa un’interessante introduzione sociologica sulla sua famiglia di provenienza. In particolare, evidenzia la differenza tra gli ebrei tedeschi di immigrazione ottocentesca, per i quali l’identità ebraica era qualcosa da superare a favore di una più o meno specificata “americanicità”, e gli ebrei russo-polacchi di immigrazione tardo-ottocentesca e primo-novecentesca, per i quali il senso di identità era dato dall’appartenenza al popolo ebraico. Monk in pratica inizia il suo libro contrapponendo a questo proposito Oppenheimer al suo amico Isidor Rabi, anch’egli fisico, proveniente da una famiglia di ebrei polacchi ortodossi: pur non essendo religioso, Rabi aveva un forte senso di appartenenza etnico-culturale, e criticava Oppenheimer per il suo voler misconoscere le radici da cui proveniva.

Oppenheimer proveniva da una famiglia facoltosa che ci teneva ad apparire esclusivamente “americana”, ma nonostante gli sforzi rimaneva sempre una famiglia di ebrei tedeschi, lontani seguaci dell’Haskalah, l’illuminismo ebraico di Moses Mendelssohn. Gli ebrei tedeschi, di più antica immigrazione rispetto agli ebrei russo-polacchi, maturarono un notevole successo nelle attività imprenditoriali e finanziarie, con nomi conosciuti ancora oggi in tutto il mondo come Lehman, Guggenheim, Goldman, Sachs. Per inciso, a questa élite ebraica apparteneva il maggior nemico politico di Oppenheimer nel dopoguerra, Lewis Strauss, che era ebreo anche lui, ma ortodosso. 

La tradizionale élite W.A.S.P. non voleva però mescolarsi con i nuovi ricchi ebrei, e questo provocò casi famosi di antisemitismo, tra cui quello del rettore di Harvard Abbott Lawrence Lowell, che per mantenere alta la reputazione dell’università per i rampolli W.A.S.P. decise di contingentare drasticamente le immatricolazioni degli studenti ebrei [Monk, capitolo 4, “Harvard”]. È interessante notare che Lowell era sinceramente preoccupato per l’inclusione degli studenti poveri ad Harvard, ma solo per quelli di etnia anglosassone.

Università di Harvard
Harvard University Yard ( CC-BY-SA-3.0 Ingfbruno via WikiCommons).

Fu proprio ad Harvard però che un diciottenne Oppenheimer si immatricolò nell’autunno 1922 (in chimica, è da notare, non in fisica). Il giovane Oppenheimer appariva allora ad occhi non accademici come il più classico degli studenti di fisica teorica alla Sheldon Cooper: geniale e brillante nel lavoro scientifico, ma psicologicamente labile e con forti difficoltà relazionali. Come chimico cercò di svolgere diligentemente i suoi compiti di laboratorio, ma man mano che passavano i mesi si ritrovò sempre più affascinato dalla teoria e, soprattutto, sempre più affascinato dalla fisica, grazie al fisico sperimentale Percy Brigdman (1882-1961), premio Nobel nel 1946 [Pais, p. 8].

A Cambridge

Il Christ's College a Cambridge
Il “Great Gate” del Christ’s College a Cambridge (CC BY-SA 4.0 Verbcatcher via WikiCommons).

Nel 1925, anno della laurea di Oppenheimer ad Harvard, la fisica americana era arretrata in confronto a quella europea, e così Oppenheimer per ottenere il dottorato di ricerca andò all’università britannica di Cambridge. Ma qui, invece di diventare allievo del grande Ernest Rutherford, si trovò al Christ’s College, sotto i fisico sperimentale Joseph John Thomson (1856-1940). Thomson era una persona squisita, ma sembrava voler incarnare l’affermazione di Thomas S. Kuhn secondo cui il progresso scientifico avviene col ricambio generazionale. Thomson rimase sempre uno scienziato ottocentesco: dopo la sua storica scoperta dell’elettrone nel 1897, non accettò mai né la relatività di Einstein né il modello atomico di Rutherford. Trovarsi alle dipendenze di Thomson, per un giovane fisico che voleva partecipare alla “new wave” della c.d. “Knabenphysik”, la “fisica dei ragazzi” – cioè la nuova meccanica quantistica -, era una cosa particolarmente avvilente. La cosa si ripercosse anche sullo stato di salute mentale di Oppenheimer, che sembra si sia reso responsabile di un tentato omicidio ai danni del suo tutor, il giovane e brillante Patrick Blackett (1897-1974), poi premio Nobel per la fisica nel 1948, con una simbolica mela avvelenata. Per fortuna di Oppenheimer la cosa non ebbe strascichi, né giudiziari né accademici.

Nel 1926, una vacanza passata a fare trekking in Corsica fu un momento cruciale per la vita del giovane Oppenheimer. Il dovere morale di essere sempre il primo di tutti, che i genitori gli avevano instillato fin dall’infanzia, aveva fatto grossi danni psicologici ad Oppenheimer, in quanto questo imperativo categorico lo stava portando alla pazzia e alla violenza nei confronti di chi sentiva superiore a lui. Come scrive Monk [pp. 179-180]: «Oppenheimer fu capace di vivere con altre persone solo quando si rese conto che non necessariamente esse lo vedevano allo stesso modo in cui lui si vedeva; e che pertanto le sue parole e i suoi atti non suscitavano negli altri il senso di repulsione che suscitavano in lui». Comunque, come dice Monk, «il problema con Oppenheimer era che voleva sempre essere migliore degli altri intorno a lui» [p. 212], e questo problema il nostro non riuscì mai a superarlo. Anzi, gli provocò grossi guai quando iniziò a essere anche un personaggio “politico”.

Il primo lavoro di Oppenheimer risale proprio al 1926, appena tornato dalla Corsica, e fu pubblicato sui «Mathematical Proceedings of the Cambridge Philosophical Society» col titolo On the Quantum Theory of Vibration–Rotation Bands («Mathematical Proceedings of the Cambridge Philosophical Society», Volume 23, Issue 3, July 1926, pp. 327-335). Si trattava di uno studio di chimica quantistica (ad Harvard Oppenheimer si era laureato in chimica): gli spettri in banda infrarossa delle molecole biatomiche furono attribuiti già a inizio secolo al comportamento quantistico della vibrazione e rotazione delle molecole, e questi movimenti relativamente semplici erano una buona occasione per verificare sperimentalmente le nuove teorie quantistiche. Oppenheimer derivò i movimenti e le frequenze di vibrazione delle molecole biatomiche applicando la formalizzazione della meccanica quantistica di Dirac. «Here as well as later in his work, his great knowledge of mathematical tools was most useful», scrive Hans Bethe nella sua memoria su Oppenheimer, ma in realtà questo primo lavoro manifestò già un problema che tormentò sempre Oppenheimer, per quanto strano questo possa sembrare a un profano: i suoi lavori contenevano spesso e volentieri errori nella matematica.

Bethe scrive pure che la teoria degli spettri continui fu il principale interesse di Oppenheimer fino al 1929. In effetti nel 1926 pubblicò anche un breve articolo per la rivista tedesca «Naturwissenschaften» dal titolo Quantentheorie des kontinuierlichen Absorptionsspektrums (Volume 14, p. 1282, Dicembre 1926). Essendo, come scrive Bethe, “territorio inesplorato”, dovette sviluppare il metodo per normalizzare le autofunzioni nello spettro continuo e fare i calcoli delle probabilità di transizione (“transition probabilities”). Il lavoro fatto da Oppenheimer sembrava in disaccordo con i dati, ma questo – dice sempre Bethe – era in effetti dovuto alla scarsa conoscenza dell’atmosfera solare che si aveva nel 1926. In quegli anni si credeva che il Sole fosse composto più o meno degli stessi elementi della Terra, quindi da “metalli” (nel senso astrofisico del termine), e solo più di un decennio dopo l’astrofisico danese Bengt Strömgren (1908-1987) stabilì il corretto rapporto degli elementi chimici nelle stelle, con un 70% di idrogeno, un 27% di elio e solo il 3% di altri elementi. Questo fece sì che la teoria di Oppenheimer diventasse in accordo con i dati osservativi.

Ormai era chiaro comunque che la fisica teorica, e non la fisica sperimentale, era la sua vocazione, e di questo se ne accorse anche Rutherford, che all’inizio non aveva voluto Oppenheimer tra i suoi allievi e lo aveva sbolognato a Thomson. La svolta teorica di Oppenheimer sembra essere accaduta nel giugno 1926 a Cambridge durante un incontro fortuito con Niels Bohr che era andato a trovare Rutherford al Cavendish [Pais, p. 9]. Intanto riuscì a pubblicare un secondo lavoro, On the Quantum Theory of the Problem of the Two Bodies («Mathematical Proceedings of the Cambridge Philosophical Society», Volume 23, Issue 4, October 1926, pp. 422-431).

A Göttingen

Oppenheimer a Göttingen
Un giovanissimo Oppenheimer dottorando a Göttingen (public domain via Picryl).

Il lavoro fatto da Oppenheimer a Cambridge risvegliò l’attenzione di Max Born verso il nostro, che dopo pochi mesi si trasferì a Göttingen, allora un’università di eccellenza per la matematica e la fisica prima della catastrofe nazista. Qui, sotto l’egida di Max Born, Oppenheimer poté seguire molto da vicino la rivoluzione scientifica della meccanica quantistica, e qui ottenne il dottorato in fisica nel 1927. In una lettera a Francis Fergusson (1904-1986), letterato e filosofo, amico di vecchia data di Oppenheimer [Monk, p.202], quest’ultimo si esprime così riguardo all’ambiente di Göttingen: «Lavorano moltissimo qui, combinando un insopprimibile falsità metafisica con l’arrivismo di un tappezziere. Come risultato, il lavoro che si fa qui manca in maniera quasi diabolica di credibilità, eppure riscuote un enorme successo». Al di là del tono altezzoso e gratuitamente sarcastico, la “traduzione” di questo passo – almeno per chi scrive – è: lavorano moltissimo perché sanno di stare rivoluzionando la fisica, sanno di stare scrivendo la storia della fisica e vogliono che questa riporti il loro nome (l’arrivismo del tappezziere), ma evitano il problema filosofico della sostituzione del determinismo causale con le onde di probabilità (quello che faceva andare in bestia Einstein, ma che era comunque indigesto anche a molti altri fisici della sua generazione), perché non sanno bene il significato fisico dei loro calcoli che pure funzionano alla perfezione (il famoso «zitto e calcola» dell’interpretazione di Copenhagen).

Nonostante il cupo clima antisemita degli anni precedenti il nazismo, Oppenheimer si sentiva bene nell’ambiente socialmente più trasandato di Göttingen, dove, contrariamente che a Cambridge, era lui a poter fare lo “snob”. Inoltre, dopo le “rivelazioni” corse, era diventato più disinvolto e sicuro di sé, addirittura arrogante. In quanto a Born, era attratto ma anche intimidito da Oppenheimer, e per lui fu un sollievo quando il nostro se ne tornò negli Stati Uniti. Carattere remissivo, Max Born confessò di essere «un po’ spaventato» [Monk, p. 203] da Oppenheimer, che stava sempre più dimostrando un’esuberante e spavalda spacconeria che lo portava a voler essere sempre al centro dell’attenzione anche a costo di disturbare le lezioni, cosa che suscitò l’ira dell’allora studentessa, poi premio Nobel nel 1963, Maria Göppert (1906-1972) che in nome anche degli altri studenti fece capire a Born che le uscite di Oppenheimer erano indesiderate. Si stava formando un lato oscuro del carattere di Oppenheimer che peggiorerà col tempo e che renderà difficile il suo rapporto con colleghi e studenti: la volontà di sopraffare l’interlocutore per primeggiare sull’uditorio. Man mano che Oppenheimer diventava famoso e ascoltato, finirà per esercitare una specie di principio di autorità che lo porterà spesso e volentieri a non cogliere la correttezza delle argomentazioni dell’interlocutore e l’inconsistenza delle sue. Era un’eredità della regola fattagli introiettare dai genitori (e in fondo mai del tutto superata) che era suo dovere morale, anzi esistenziale, essere sempre il primo di tutti su qualsiasi cosa, regola che come abbiamo visto lo portò alle soglie della malattia mentale a Cambridge.

Nonostante fosse uscito dai problemi psicologici di Cambridge, voleva sempre essere migliore degli altri, spesso e volentieri cercando, come abbiamo visto, di svergognare l’interlocutore. Il problema era che non lo faceva solo con studenti e colleghi, ma anche con gente che era in grado di fargli molto del male. Il fatto che avesse capito che non era una tragedia esistenziale che lui non fosse sempre il migliore di tutti, non significa che egli avesse perso la volontà di esserlo. Tra l’altro, a Göttingen Oppenheimer incontrò per la prima volta e fu in buoni rapporti con John von Neumann, rapporti che certamente non lasciavano presagire le aspre divergenze politiche ancora al di là da venire [Pais, p. 10].

Paul Dirac
Paul Dirac nel 1933 (Nobel Foundation, public domain via Wikipedia).

A Göttingen Oppenheimer fu vicino a Paul Dirac, «che Oppenheimer venerava come fisico forse più di ogni altro, a parte Niels Bohr» [Monk, p.205], ma per la psicologia di Oppenheimer ammirazione significava anche invidia e rivalità. Dirac era arrivato a Gottinga nel febbraio 1927, proprio nel periodo in cui stava iniziando a elaborare la prima versione dell’elettrodinamica quantistica (QED). Gli anni ‘20 furono fondamentali per lo sviluppo delle tecniche matematiche della meccanica quantistica: infatti in quegli anni si ebbero la teoria ondulatoria di Erwin Schrõdinger (1887-1961), il modello matriciale di Werner Heisenberg e appunto il metodo delle parentesi di Dirac (le famose “bra” e “kets” del prodotto scalare nello spazio di Hilbert). Nel marzo 1927 poi Heisenberg pubblicò il suo fondamentale principio di indeterminazione.

Oppenheimer conseguì il dottorato a Göttingen nel maggio 1927, e Born fu felice di liberarsi di una presenza che per lui si era fatta psicologicamente ingombrante. Dopo la tesi di dottorato, pubblicò assieme a Born Zur Quantentheorie der Molekeln (“Sulla teoria quantistica delle molecole”), che conteneva un importante risultato, la c.d. “approssimazione di Born-Oppenheimer”, che permette di considerare il moto degli elettroni trattando i nuclei atomici come fissi, semplificando i calcoli dell’equazione di Schrödinger. In pratica, si tratta il problema separandolo in due: da un lato si descrive il moto degli elettroni attorno appunto a nuclei considerati fissi, e poi si descrivono i moti di vibrazione e rotazione di questi ultimi. È un metodo fondamentale in chimica quantistica (ambito nel quale i primi lavori di Oppenheimer, chimico e non fisico ad Harvard, si muovevano). Intanto le università americane si stavano già facendo concorrenza per portare Oppenheimer nelle loro facoltà di fisica.

Born e Oppenheimer
Il primo articolo importante di Oppenheimer, liberamente scaricabile via internet.

In America, poi di nuovo in Europa

Linus Pauling
Linus Pauling negli anni Quaranta (CC BY-SA 2.0 Oregon State University via Wikipedia).

A metà 1927, tornando in America come ricercatore post-dottorato, Oppenheimer aveva un preciso obiettivo: fare in modo che per la fisica teorica gli Stati Uniti non fossero più un paese di serie B. In pochi anni la situazione si sarebbe totalmente capovolta, ma non grazie alle università americane, quanto piuttosto ad Adolf Hitler. Dopo una breve parentesi ad Harvard [Pais, p. 14], Oppenheimer si trasferì in California, al California Institute of Technology, il celeberrimo Caltech. Al Caltech Oppenheimer divenne ottimo amico di Linus Pauling (1901-1994), futuro premio Nobel per la chimica, ma l’amicizia ebbe una brusca e burrascosa fine allorché Oppenheimer, che aveva sempre avuto un certo debole per le donne sposate, si interessò un po’ troppo alla bella moglie di Pauling.

Ma al Caltech emerse per Oppenheimer l’esigenza di perfezionarsi. Scrive Abraham Pais (1918-2000) [p. 15]: «Robert’s experience at Caltech in 1928 revealed to him his deficiencies in mathematics, and he secured a Fellowship of the International Education Board to return to Europe for another year, delaying assumption of his California posts». Così, nell’autunno del 1928 Oppenheimer era ancora in Europa, prima nei Paesi Bassi, a Utrecht con Hans Kramers (1894-1952), poi a Leida con Paul Ehrenfest (1880-1933), e in seguito a Zurigo da Wolfgang Pauli (1900-1958). Come carattere Pauli era l’opposto di Max Born e non si lasciava intimidire da Oppenheimer, del quale disse «Le sue idee sono sempre molto interessanti, peccato che i suoi calcoli siano sempre sbagliati» [Monk, p.]. Nel 1929 fece pure una puntata a Lipsia dove conobbe Isidor Rabi, che come abbiamo già detto gli sarà amico negli anni a venire.

——————

Nota bibliografica

Questo lavoro è basato soprattutto sulla biografia di Ray Monk, Robert Oppenheimer. L’uomo che inventò la bomba atomica, Milano, Bompiani (Firenze, Giunti Editore S.p.A.), luglio 2023 (più serio il titolo originale: Inside the Centre: The Life of J. Robert Oppenheimer, London, Jonathan Cape 2012). Un’altra biografia di Oppenheimer che è stata utilizzata è quella di Kai Bird e Martin J. Sherwin, Oppenheimer. Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica, Milano, Garzanti 2007 (anche per quest’opera il vizietto del clickbait degli editori italiani ha stravolto il titolo originale: American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer, New York, Alfred A. Knopf 2005). Troppo centrata sull’uomo e sulle sue vicissitudini politiche e private, non ha però dato un grande apporto allo scritto. Molto più utili sono state le due pubblicazioni seguenti. La prima è la Memoria letta da Hans Bethe alla morte di Oppenheimer: J. Robert Oppenheimer, 1904-1967. A Biographical Memoir by H. A. Bethe, National Academies Press, Washington D.C. 1997, disponibile in rete in più siti. Si tratta di uno scritto molto interessante, dato che l’autore è uno dei più grandi fisici del XX secolo, ma data l’occasione inevitabilmente celebrativo e non poteva non esserlo. La seconda pubblicazione fondamentale per capire l’Oppenheimer fisico teorico è il libro, incompiuto, di Abraham Pais, J. Robert Oppenheimer. A Life, With Supplemented Material by Robert P. Crease, Oxford, Oxford University Press 2006. Ho utilizzato a man bassa Wikipedia, nella versione inglese, per una prima informazione e sitografia sui vari personaggi e argomenti trattati; citare tutte le voci consultate sarebbe troppo lungo. Per tutti gli anni Trenta, quelli dell’Oppenheimer fisico “puro”, gli articoli scientifici del nostro sono stati pubblicati sulla «Physical Review», dove con un po’ di pazienza si possono trovare i riferimenti bibliografici sul sito attuale della rivista. Per fortuna alcuni di questi articoli, tra i quali i due lavori pioneristici di astrofisica,  sono diventati, dopo quasi novant’anni, di dominio pubblico, liberamente scaricabili e citabili. Mi è sembrato interessante riportarne i titoli originali. L’elenco degli articoli di Oppenheimer può essere trovato al seguente link, anche se vi sono delle lacune (non vi compare ad esempio l’articolo scritto con Max Born nel 1927).