Supernova SN1987A
I gas in espansione dei resti della supernova di Tipo II SN1987A, esplosa nella Grande Nube di Magellano nel 1987 appunto,ripresi dallo Hubble Space Telescope. Le supernove di Tipo II sono generate dal collasso gravitazionale di una stella massiccia, che può dare origine o a una stella di neutroni o a un buco nero, come immaginato da Oppenheimer. SN1987A, anche se extragalattica, è stata la supernova più vicina alla Terra dopo la supernova galattica di Keplero (NASA, public domain via Wikipedia).

A Berkeley

first cyclotron
Una fotografia a colori del primo ciclotrone costruito da Ernest Lawrence, del diametro di soli 4 pollici (± 10 cm). Si tratta di un ciclotrone a forma di D e contiene giunti sottovuoto vetro-metallo realizzati con “cera di Faraday” (i giunti rossi). Questo “giocattolo” è il bisnonno dell’LHC (public domain via Wikipedia).

Nel luglio 1929, col suo definitivo ritorno negli Stati Uniti, si concluse definitivamente l’apprendistato europeo di Oppenheimer, che decise per l’Università della California a Berkeley. Qui iniziò a raccogliere allievi per fondare una scuola americana di fisica teorica. Contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare oggi, la facoltà di fisica a Berkeley non aveva un corpo docente all’altezza; oltre a Oppenheimer, a cambiare le cose contribuì l’arrivo del fisico sperimentale Ernest Orlando Lawrence, premio Nobel nel 1939 per l’invenzione del ciclotrone. Con Lawrence nacque nel 1931 a Berkeley il Radiation Laboratory o “Rad Lab” (l’attuale Lawrence Berkeley National Laboratory, da non confondere col quasi omonimo Lawrence Livermore National Laboratory, voluto da Edward Teller e lo stesso Lawrence per costruirvi la bomba all’idrogeno). Lawrence diventò amico di Oppenheimer, anche se l’amicizia si guastò con l’inizio della Guerra Fredda per divergenze politiche.

Oppenheimer Fermi Lawrence
Oppenheimer, Fermi e Lawrence ai tempi del progetto Manhattan (public domain via Wikipedia).

Oppenheimer aveva una grande attenzione per i suoi studenti, ma come insegnante all’inizio fu un disastro: Carl D. Anderson, lo scopritore del positrone, disse  che non si capiva una parola delle lezioni di Oppenheimer. Alla fine comunque Oppenheimer si ammorbidì e riuscì a radunare attorno a sé un gruppo significativo di allievi post-laurea o post-dottorato, come racconta Serber: «By the time of my arrival in Berkeley, Oppie’s course in quantum mechanics was well established. Oppie was quick, impatient, and had a sharp tongue. In the earliest days of his teaching he was reputed to have terrorized the students. Now, after five years of experience, he had mellowed – if his earlier students were to be believed.» [Pais, p. 22]. Alla fine riuscì a radunare intorno a sé un gruppo di studenti che lo adoravano: una delle sue qualità migliori, quella di spaziare non solo nelle discipline scientifiche ma anche in quelle umanistiche, faceva dei suoi discorsi qualcosa di affascinante per chi avesse avuto la sensibilità culturale di coglierli [Pais, pp. 22-23]. Ovviamente, questa qualità rendeva Oppenheimer molto antipatico a chi questa sensibilità non l’aveva.

Anche la ricerca teorica di Oppenheimer lasciava un po’ a desiderare, per due motivi: l’ormai nota sua poca dimestichezza con i calcoli matematici troppo elaborati, e la sua ossessione nel voler dimostrare che l’equazione di Dirac era sbagliata. In effetti l’equazione di Dirac aveva dei problemi, ma era più “incompleta”, come dicono i fisici, che concettualmente errata. Questo accanimento, che sembra avere risvolti più psicologici che scientifici, precluse a Oppenheimer la possibilità di dare uno storico contributo alla nascente elettrodinamica quantistica [Monk, p. 276].

Oppenheimer e l’equazione di Dirac

Nel 1930 Oppenheimer scrisse una “Lettera al Direttore” della «Phisical Review» (ricevuta il 14 febbraio 1930 e pubblicata sul numero 35 alle pagine 562-563) dal titolo On the Theory of Electrons and Protons, dove discuteva su un lavoro di Paul Maurice Dirac apparso il 1° gennaio 1930, A theory of electrons and protons («Proceedings of the Royal Society of London», Series A 126 (801), 360-365). Con questo articolo Oppenheimer iniziò la sua storia personale con l’equazione di Dirac: anche se allora non poteva saperlo, col senno di poi il suo incaponirsi sull’equazione di Dirac gli costò ben due scoperte teoriche che gli avrebbero fatto guadagnare il Nobel e lo avrebbero fatto passare alla storia della fisica come sicuramente avrebbe voluto lui, non come il “padre della bomba atomica”: la prima di queste fu quella del positrone.

Oppenheimer Millikan Dirac
Da sinistra a destra: Dirac, Millikan e Oppenheimer nel 1935 (fair use).

L’equazione di Dirac è una “equazione d’onda” che descrive il moto dei fermioni, ossia le particelle che seguono la “statistica di Fermi-Dirac” per le particelle a spin semintero, tra cui l’elettrone, particella massiva con spin ½. Fu una conquista storica per vari motivi:

  1. era la prima teoria quantistica ad utilizzare la relatività ristretta per spiegare il moto delle particelle ad alta velocità, come ad esempio quelle dei raggi cosmici;
  2. spiegava bene, anche se non perfettamente la struttura fine dello spettro dell’atomo di idrogeno; non perfettamente perché nel 1947 si scoprì lo “spostamento di Lamb”, piccola differenza di energia tra due livelli energetici dell’atomo di idrogeno, che secondo la teoria di Dirac avrebbero dovuto avere energia uguale. Lo “spostamento di Lamb” era causato dalle interazioni tra i fotoni virtuali creati dalla fluttuazione quantistica del vuoto, secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg;
  3. dava anche una spiegazione teorica allo “spin”, il numero quantico introdotto empiricamente da Wolfgang Pauli nel 1924 per formulare il suo “principio di esclusione”;
  4. e soprattutto, l’equazione di Dirac implicava l’esistenza di una particella a carica positiva, che si rivelò essere poi l’anti-elettrone o positrone.
Mare di Dirac
Il “mare di Dirac” è un modello teorico in cui il vuoto quantistico è visto come un mare infinito di particelle a energia negativa. Dirac formulò questa ipotesi nel 1930 per interpretare gli stati quantici a energia negativa previsti per l’elettrone dalla sua equazione. Nell’ordinata si trova l’energia; le particelle a energia positiva sono in giallo, le particelle a energia negativa (antiparticelle) sono in blu (didascalia rielaborata da Wikipedia, immagine public domain sempre da Wikipedia).

Dirac cioè in pratica aveva teorizzato la c.d. “antimateria”. Infatti, poiché la sua equazione ammetteva soluzioni ad energia negativa, Dirac ipotizzò che il vuoto potesse essere considerato un’estensione infinita di particelle a energia negativa: il “mare di Dirac” appunto. Dirac però si accorse che una particella a energia negativa poteva subire un “salto quantico” (cioè un cambiamento improvviso e discontinuo del suo stato quantico) passando a energia positiva e lasciando un “buco” nel mare di Dirac. Questo “buco” era equivalente a una particella con carica elettrica positiva. Poiché l’unica particella a carica positiva allora conosciuta era il protone, Dirac era convinto, sbagliando, che gli stati di energia negativa fossero occupati da protoni. Oppenheimer fu il primo a dire che non poteva essere il protone, poiché questo avrebbe fatto annichilire spontaneamente l’atomo di idrogeno con il protone e l’elettrone che si sarebbero trasformati in due fotoni [Pais, p. 25]. Oppenheimer dimostrò che le particelle in questione non potevano avere la massa del protone, ma dovevano avere la massa dell’elettrone. A questo punto, invece di predire l’esistenza del positrone, prima particella conosciuta dell’antimateria, Oppenheimer concluse frettolosamente che quella era la prova che l’equazione di Dirac era sbagliata.

Ma perché Oppenheimer era così tanto ostile all’equazione di Dirac? Al di là della sotterranea invidia per il genio di Dirac, di cui pure era amico, c’erano motivazioni più solide per il rifiuto da parte di Oppenheimer di questa equazione. La meccanica quantistica si era sviluppata nel giro di appena un trentennio (l’ipotesi di Planck sulla radiazione di corpo nero è del 1900) e con le sue “stranezze” stava mettendo a durissima prova le più intime convinzioni dei fisici: occorreva grande apertura mentale, se non fantasia, per accettare pienamente teorie che sembravano scardinare pilastri epistemologici come il realismo e la causalità. Inoltre, in fisica una soluzione infinita è sempre stata tradizionalmente considerata il segno che qualcosa sta andando storto. E l’equazione di Dirac ammetteva un numero infinito di soluzioni, corrispondenti a infiniti stati con energia negativa, e l’energia tradizionalmente è sempre una grandezza definita semipositiva. Inoltre, l’esistenza di stati a energia negativa portava Oppenheimer a pensare che il vuoto quantistico potesse essere instabile, collassando in uno stato di energia infinitamente negativa. Da qui l’ossessione da parte di Oppenheimer di dimostrare che l’equazione di Dirac era sbagliata.

Comunque, confidando nella bontà della sua equazione, fu lo stesso Dirac, e non Oppenheimer, a trarre la conclusione giusta e a passare alla storia della fisica come il teorico del positrone, poi scoperto da Carl Anderson nel 1932, proprio lo studente che non capiva le lezioni di Oppenheimer. Anderson, studiando i raggi cosmici con una camera a nebbia, osservò tracce di particelle che si curvavano in un campo magnetico in modo opposto rispetto agli elettroni. Questa anomalia poteva essere spiegata solo ammettendo l’esistenza di particelle con carica positiva.

Congresso Solvay 1911
Alcuni esponenti della “prima generazione” di fisici che studiarono la materia allo stato molecolare e atomico scoprendone le proprietà quantistiche. Siamo al Congresso Solvay del 1911: Walther Nernst, Hendrik Lorentz, Marcel Brillouin, Emil Warburg, Jean Baptiste Perrin, Wilhelm Wien, Marie Skłodowska-Curie, Henri Poincaré, Robert Goldschmidt, Max Planck, Heinrich Rubens, Arnold Sommerfeld, Frederick Lindemann, Maurice de Broglie, Martin Knudsen, Friedrich Hasenöhrl, Georges Hostelet, Edouard Herzen, James Hopwood Jeans, Ernest Rutherford, Heike Kamerlingh Onnes, Albert Einstein, Paul Langevin (public domain via Wikipedia).

Scrive a proposito Bethe nella sua Memoria: «As early as 1930, Oppenheimer wrote a fundamental paper which essentially predicted the positive electron. One year before, Dirac had reinterpreted the negative energy solutions of his relativistic equation for the electron as indicating the existence of positive charges. Dirac had believed that these were protons. Oppenheimer showed, by very cogent arguments involving symmetry, that the positive charges could not have the mass of the proton, but must have the same mass as the electron. This implicitly predicted the existence of the positron which was discovered three years later. Unfortunately Oppie was prevented from drawing this conclusion by his skepticism concerning the validity of the Dirac equation, a skepticism which had been engendered by another calculation (with Harvey Hall, his student) on the photoelectric effect at high energies, which appeared to disagree with experiment». Questo articolo citato indirettamente da Bethe apparve sulla «Phisical Review» (n. 38, pp. 57-79) il 1° luglio 1931: Relativistic Theory of the Photoelectric Effect. Part I. Theory of theK-Absorption of X-rays. Part II. Photoelectric Absorption of Ultragamma Radiation. In questo articolo, il primo scritto a quattro mani con uno dei suoi studenti o collaboratori, Oppenheimer fu in effetti ancor più esplicito. «We see here another breakdown with present electromagnetic theory», scrissero Oppenheimer e Hall, perché la previsione teorica appariva 25 volte più grande del risultato sperimentale. Oppenheimer concluse che l’equazione di Dirac era errata per energie relativistiche; ma l’errore era suo, la previsione teorica da lui calcolata era errata per un fattore di 44/3. Disse Serber: «[Oppenheimer’s] physics was good, but his arithmetic awful» [Pais, p. 25]. Comunque, avevano ragione nel dire che la divisione nella linea dello spettro dell’idrogeno suggeriva una piccola differenza tra due livelli energetici degli orbitali dell’elettrone dell’atomo di idrogeno che secondo la teoria di Dirac avrebbero dovuto avere la stessa energia. Willis Lamb, che era stato uno dei dottorandi di Oppenheimer, lo misurò nel 1947 (vedi il paragrafo sulla conferenza di Shelter Island). L’idea che la QED fosse fondamentalmente sbagliata, non solo negli infiniti ma anche nelle previsioni finite, accompagnò Oppenheimer per tutti gli anni Trenta [Pais, pp. 24-25].

Congresso Solvay 1927
Il Congesso del 1927: Auguste Piccard, Émile Henriot, Paul Ehrenfest, Édouard Herzen, Théophile de Donder, Erwin Schrödinger, Jules-Émile Verschaffelt, Wolfgang Pauli, Werner Heisenberg, Ralph Howard Fowler, Léon Brillouin, Peter Debye, Martin Knudsen, William Lawrence Bragg, Hendrik Anthony Kramers, Paul Dirac, Arthur Compton, Louis de Broglie, Max Born, Niels Bohr, Irving Langmuir, Max Planck, Marie Skłodowska Curie, Hendrik Lorentz, Albert Einstein, Paul Langevin, Charles-Eugène Guye, Charles Thomson Rees Wilson, Owen Willans Richardson. Già sono presenti alcuni grandi nomi della “seconda generazione” (public domain via Wikipedia).

Anche Dirac comunque ebbe le sue ingiustificate idiosincrasie: fu sempre ferocemente contrario alle tecniche di rinormalizzazione degli infiniti che inevitabilmente saltano fuori nella teoria quantistica dei campi. Eppure furono proprio queste tecniche, frutto del genio della terza generazione di fisici quantistici, a dare all’elettrodinamica quantistica una formulazione coerente e a farne una delle teorie più di successo della fisica del Novecento. Insomma, come i fisici quantistici della prima generazione (Planck, Einstein, Thomson) erano scettici nei confronti dei risultati della seconda generazione (Schrödinger, Heisenberg, Dirac), così questi erano scettici nei confronti della terza generazione (Schwinger, Feynman, Dyson, Tomonaga, ecc.). Nonostante il suo essere il prototipo della scienza “dura”, la fisica porta con sé anche tutta una serie di presupposti epistemologici che, in epoche di rivoluzione scientifica, arrivano a impedire a diversi dei fisici più anziani la comprensione delle nuove teorie scientifiche, alle quali reagiscono con ostilità. Gli esempi sono molti: Einstein sopra tutti, ma anche Thomson, Lenard, Dirac e diversi altri.

Congresso Solvay 1933
Al Congresso del 1933 siamo in piena rivoluzione quantistica: Erwin Schrödinger, Irène Joliot-Curie, Niels Henrik Bohr, Abram Ioffe, Marie Curie, Paul Langevin, Owen Willans Richardson, Ernest Rutherford, Théophile de Donder, Maurice de Broglie, Louis de Broglie, Lise Meitner, James Chadwick, Émile Henriot, Francis Perrin, Frédéric Joliot-Curie, Werner Heisenberg, Hendrik Anthony Kramers, Ernst Stahel, Enrico Fermi, Ernest Walton, Paul Dirac, Peter Debye, Nevill Francis Mott, Blas Cabrera y Felipe, George Gamow, Walther Bothe, Patrick Blackett, M.S. Rosenblum, Jacques Errera, Edmond Bauer, Wolfgang Pauli, Jules-Émile Verschaffelt, Max Cosyns, Édouard Herzen, John Douglas Cockcroft, Charles Drummond Ellis, Rudolf Peierls, Auguste Piccard, Ernest Lawrence, Léon Rosenfeld. Assenti Albert Einstein (appena emigrato negli Stati Uniti a causa delle persecuzioni razziali) e Charles-Eugène Guye (public domain via Wikipedia).

In quello stesso 1931, Oppenheimer scrisse Note on Light Quanta and the Electromagnetic Field («Phisical Review», n. 38, p. 725, 15 agosto 1931). In questo articolo Oppenheimer tentò di ricavare un’equazione differenziale di prim’ordine per il fotone, così come Dirac aveva trovato un’equazione per l’elettrone. Il tentativo non portò da nessuna parte, ma lo portò a riconoscere la differenza fondamentale tra le particelle a spin semintero (fermioni) e particelle a spin intero (bosoni) [Pais, pp. 25-26].

Oppenheimer, le “docce” di particelle cosmiche e i neutrini

Oltre che all’equazione di Dirac, agli inizi degli anni Trenta si dedicò anche ai neutrini, che allora erano stati postulati da Wolfgang Pauli nel dicembre 1930 per spiegare come il decadimento beta potesse conservare energia, quantità di moto e momento angolare (spin), in contrasto con Niels Bohr, il quale studiandone lo spettro continuo era giunto alla conclusione, errata, che la legge di conservazione dell’energia non si applicava al decadimento beta.

super_kamiokande
Le pareti interne del rivelatore di neutrini giapponese Super Kamiokande (CC BY-NC 2.0 Soluzioni visive Nekovideo? via Flickr)

La particella ipotizzata da Pauli, essendo senza carica elettrica, era stata chiamata da Pauli “neutrone”, creando confusione con il vero neutrone, che era stato predetto già nel 1920 da Rutherford ragionando sul semplice fatto che carica elettrica e massa dei nuclei atomici non corrispondevano al caso che i nuclei fossero composti da soli protoni. Ciò rendeva impossibile che il nucleo fosse composto da soli protoni. Il neutrone fu poi scoperto sperimentalmente da James Chadwick nel 1932.

Simulazione raggi cosmici
Simulazione di uno sciame di raggi cosmici creato da un protone con un’energia di 1 TeV che collide con l’atmosfera a 20.000 m di quota (CC BY 2.5 University of Chicago via Wikipedia).

Oppenheimer si era messo al lavoro per capire se il “neutrone” di Pauli potesse spiegare quello che allora era il mistero dei “raggi cosmici”, particelle ad alta energia che provengono dallo spazio esterno. La natura extraterrestre di queste emissioni naturali ad alta energia era stata scoperta a inizio secolo, e in modo indipendente, dall’italiano Domenico Leone Pacini e dall’austriaco Victor Franz Hess (premio Nobel nel 1936; Pacini non poté conseguire il premio perché morto nel frattempo). Lo studio dei raggi cosmici fu portato poi avanti negli anni Venti da Robert Millikan e Arthur Compton, che si scontrarono sull’interpretazione della loro natura. Mentre Millikan costruì sui raggi cosmici una teoria semiteologica sulla creazione di particelle dal nulla, Compton suppose correttamente che fossero composti da particelle cariche. Oppenheimer liquidò subito la teoria creazionista di Millikan, ma sostenne anche che le particelle cariche non erano protoni, come Compton pensava, ma piuttosto i “neutroni” di Pauli. Millikan se la prese talmente che rese piuttosto difficili gli anni che Oppenheimer passò ancora al Caltech.

Negli anni Venti e Trenta, prima della costruzione dei grandi acceleratori di particelle, i raggi cosmici erano fondamentali per lo studio della fisica delle alte energie,  e per questo motivo il loro studio coinvolse diversi grandi fisici, tra cui appunto Oppenheimer. In particolare, erano allora l’unico modo di poter osservare particelle a velocità relativistiche. I fisici dell’epoca erano interessati al fenomeno degli “air showers”, ossia gli “sciami di particelle” che si creavano nell’alta atmosfera quando un “raggio cosmico”, cioè una particella ad alta energia e perciò a velocità relativistica, si scontrava con un atomo atmosferico. La collisione provocava a cascata tutta una serie di nuove particelle, man mano sempre meno energetiche, fino al definitivo assorbimento della particella di partenza nell’atmosfera più densa. Grazie ai “raggi cosmici” furono scoperte particelle come il pione e il kaone.Oppenheimer scrisse allora un articolo, assieme a J. F. Carlson, The Impacts of Fast Electrons and Magnetic Neutrons («Phisical Review», n. 41, p. 763, 15 settembre 1932). Carlson ed Oppenheimer calcolarono la perdita di elettroni per ionizzazione nelle collisioni ed anche la perdita dei “neutroni magnetici” (il nome che gli autori davano ai neutrini), suggerendo che questi erano la principale componente dei raggi cosmici [Pais, p. 28]. Rigettarono la loro affermazione quando fu scoperto che non producevano le tracce osservate nelle camere a nebbia [Pais, p. 27].

I raggi cosmici dettero a Oppenheimer un’altra occasione di mettersi in luce: le previsioni teoriche sulle particelle ad alta energia non corrispondevano alle osservazioni. Anche qui si apriva l’alternativa dei tempi dell’equazione di Dirac e del positrone: o la teoria era sbagliata, o esisteva una nuova particella. Anche stavolta Oppenheimer sostenne che la teoria era sbagliata, e ancora una volta era invece Oppenheimer che si sbagliava, e l’errore anche stavolta gli costò la scoperta del “mesotrone”, che andò a Hideki Yukawa.

Nel 1932 fu scoperto il deuterio, il neutrone e il positrone, ma per ancora qualche anno i fisici furono confusi tra il “neutrone” di Rutherford e Chadwick e il “neutrone” di Pauli, finché nel 1934 Enrico Fermi parlò di “neutrone” per la particella di Rutherford e di “neutrino” per la particella di Pauli, la cui scoperta dovette però attendere il 1955.  Il nome “neutrino” era stato inventato da Edoardo Amaldi scherzando con Enrico Fermi sul fatto che la nuova particella ipotizzata era senza carica come il neutrone ma con una massa molto più piccola.

Generatore di Van de Graaf
Il principio di funzionamento di un generatore elettrostatico di Van de Graaf (CC BY-SA 2.5 Dake via WikiCommons).
Cockroft-Walton generator
Un generatore, sempre elettrostatico, di Cockroft-Walton al London Science Museum (CC-BY-SA GFDL Geni via Wikipedia).

Oppenheimer continuò per un po’ a lavorare sulle sue idee, senza rendersi conto che erano state superate dagli eventi. La fisica teorica di Oppenheimer era stata confutata dalla fisica sperimentale e da allora Oppenheimer non snobbò più quest’ultima. In quello stesso 1932 Lawrence con un suo collaboratore accelerò protoni a 1 milione di eV (1MeV). Grazie all’effetto tunnel quantistico si sarebbe potuto «spaccare l’atomo» anche a energie più basse. L’effetto tunnel è un effetto della duplice natura corpuscolare-ondulatoria delle particelle subatomiche: grazie alla natura ondulatoria, esiste la probabilità che lel particelle si materializzino all’esterno di una barriera di potenziale elettrostatico. L’effetto tunnel era stato interpretato indipendentemente nel 1928 da George Gamow (quello del “Big Bang”) e da Edward Condon in collaborazione con Ronald Gurney. Incitato da Rutherford, John Crockroft si mise al lavoro al Cavendish Laboratory insieme al collega Ernest Walton per costruire una macchina da 300.000 eV alimentata da un generatore elettrostatico che prese il nome di “generatore Cockroft-Walton”. Come il generatore di Van De Graaff, di poco precedente, utilizzava una differenza di potenziale che accelerava particelle cariche all’interno di un tubo a vuoto. Così il 14 aprile 1932 per la prima volta fu “spaccato” l’atomo. Fu subito chiaro che la formula di Einstein E=mc2 significava che dalla scissione dell’atomo veniva prodotta una tremenda quantità di energia.

L’idea che la scissione dell’atomo avrebbe rilasciato un’enorme energia, con la quale si sarebbe potuta costruire una superbomba, circolava nella cultura popolare fin dagli anni Venti, e questo spiega la vasta eco che ottennero sui giornali sia l’esperimento di Cockroft e Walton sia il ciclotrone di Lawrence. I giornalisti americani e le rivistine di fantascienza si misero subito a favoleggiare sulla possibilità di «spaccare l’atomo». Intervistato dai giornalisti, Ernest Rutherford fece una decisa stroncatura della possibilità di un uso tecnologico della fissione atomica, cosa che poi gli diede un posto tra il nutrito stuolo degli scienziati che furono cattivi profeti. Nello stesso tempo invece Leo Szilard, ancora quasi sconosciuto, ebbe la prima intuizione della fissione di un elemento pesante.

Ernerst Rutherford laboratory
Il laboratorio di Lord Ernest Rutherford a Cambridge nel 1926. Assomiglia molto di più all’officina di un garage che a quello che ci si immaginerebbe oggi essere un laboratorio per ricerche di fisica avanzata (CC BY-SA 2.0 Science Museum London via WikiCommons).

Il 1932 fu un “annus mirabilis” per i fisici atomici sperimentali, ma la scoperta del positrone da parte di Carl D. Anderson non coinvolse minimamente Oppenheimer, nonostante egli avesse lavorato al problema; e Anderson era pure stato suo studente. Oppenheimer sembrava fare di tutto per negare che la particella scoperta da Anderson fosse proprio quella preconizzata da Dirac. Così la corretta identificazione della particella con il positrone fu data da Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini con l’aiuto di Dirac [Monk, p.305] così come il materializzarsi di un elettrone e di un “antielettrone” come spontaneo passaggio da energia a massa. Oggi è infatti noto che la conversione dell’energia in massa può portare alla produzione di una coppia particella-antiparticella.

Ma torniamo al lavoro di Oppenheimer agli inizi degli anni Trenta. Nonostante la sua completa dedizione alla fisica quantistica, Oppenheimer non riuscì a passare alla storia come un genio paragonabile a Heisenberg o Dirac, per dire due nomi della fisica quantistica della sua generazione. Isidor Rabi, che criticò sempre i tentativi di Oppenheimer «di convincere sé e gli altri di non essere ebreo» [Monk, p. 315], diceva che questo era dovuto alla sua incapacità di concentrarsi su un problema e risolverlo. In pratica non approfondiva i problemi che apriva, come si vedrà durante la sua brillantissima puntata nel terreno dell’astrofisica. Per Bird e Sherwin [p. 117] questo era dovuto al suo temperamento eccessivamente critico, che lo rendeva profondamente scettico e pessimista su qualsiasi idea. Il problema della matematica derivava forse proprio da questo suo non avere pazienza e concentrazione per sviluppare una teoria fino alla fine. Nonostante Bethe nella sua Memoria lodi le capacità matematiche di Oppenheimer, la gran parte delle testimonianze dei suoi contemporanei quando lui era vivo concordavano su questo fatto. È da notare che i suoi articoli più importanti sono sempre scritti in collaborazione con qualcuno: in genere uno studente o un dottorando, ai quali è plausibile delegasse il “lavoro sporco” dei calcoli matematici. Inoltre, molti suoi articoli hanno come punto di partenza il lavoro teorico di qualcun altro: Dirac, Landau, Tolman e altri. Molti suoi articoli danno in effetti la sensazione di lavori geniali ma troppo frettolosi. Ma il peggio era il suo modo di fare spesso troppo sbrigativo e ingiustificato, che trovava la sua peggior espressione nel suo modo istintivo, quanto impulsivo e poco rispettoso, di dire ai colleghi se ciò che dicevano era corretto o meno – e non poche volte era lui a sbagliare.

Intanto continuavano le sue idiosincrasie ossessive per Dirac: ancora nel 1933 Oppenheimer continuava a fare le pulci alla teoria di Dirac: non potendo più dire che la teoria era errata “tout-court”, iniziò a dire che non funzionava per le alte energie. Solo che gli studi di Anderson e Niedmeyer sui raggi cosmici dimostravano che l’elettrodinamica quantistica funzionava anche alle altissime energie. In effetti, l’elettrodinamica quantistica di Dirac aveva effettivamente un problema: il problema dei risultati infiniti, che fu risolto dalla generazione successiva, la terza, di fisici quantistici come Freeman Dyson, Julian Schwinger e soprattutto Richard Feynman, senza dimenticare il giapponese Sin-Itiro Tomonaga, che misero a punto la cosiddetta “rinormalizzazione”. Fu l’origine dell’elettrodinamica quantistica o QED come la conosciamo oggi. Oppenheimer al solito se n’era accorto, ma invece di mettersi a risolverlo personalmente (cosa che gli avrebbe fatto vincere sicuramente il Nobel: Oppenheimer fu proposto per il Nobel per tre volte, nel 1945, nel 1951 e nel 1967, ma non lo vinse mai), andava in cerca delle “incompletezze” della teoria di Dirac.

Per finire con i raggi cosmici, nel 1939 a Chicago Oppenheimer litigò urlando con Werner Heisenberg, in visita negli USA, proprio sull’interpretazione degli sciami dei raggi cosmici. Ma il litigio aveva i raggi cosmici solo come pretesto: i veri motivi erano la superiorità della fisica americana sulla fisica tedesca, l’odio per il regime nazista e per la sua guerra alla “scienza ebraica”. Heisenberg era un nazionalista convinto, e nonostante avesse avuto per diversi anni grosse noie con Himmler e il movimento per la “Deutsche Physik”  non ebbe alcun scrupolo, così come d’altra parte Oppenheimer, a mettersi al servizio dello sforzo bellico del suo paese. Pascual Jordan, che aveva lavorato con Max Born a Gottinga, era addirittura nazionalsocialista convinto, e questo gli costò il Nobel che molto probabilmente avrebbe vinto insieme a Max Born nel 1954 [Monk, pag. 360].

Verso la bomba atomica

Il 1933 fu un anno cruciale per la storia dell’Europa e per la storia della scienza. Adolf Hitler vinse le elezioni e l’antisemitismo nazista diventò legge in Germania. L’antisemitismo tedesco, più che con la “paura per il diverso”, è spiegabile con il fatto che l’identità comunitaria viene rafforzata dall’identificazione di un “nemico” contro il quale deviare la rabbia sociale – basti pensare alle rivalità tra le tifoserie di calcio. Più complicato spiegare perché tra i fisici europei ci fosse un grande numero di ebrei. Il premio Nobel Philipp von Lenard e Johannes Stark parlarono di “scienza ariana” che altro non era che la fisica classica newtoniana. La relatività e la meccanica quantistica furono bollate come “giudaiche”. Einstein sopra tutti, perché la sua teoria non poteva non essere incomprensibile, in quanto ebraica. La matematica e la fisica tedesche, un vero gioiello nei primi vent’anni del XX secolo, ne furono stroncate, e la fisica teorica europea si risolleverà solo negli anni Cinquanta, più precisamente nel 1954 con l’istituzione del CERN.

Controintuitivamente e ironicamente, è stato proprio l’antisemitismo nazista a salvare la causa alleata. Un nazionalsocialismo non antisemita avrebbe potuto probabilmente costruire la bomba atomica e vincere la guerra terrorizzando il mondo intero con un IRBM a testata nucleare già alla fine degli anni Quaranta, e un ICBM non troppi anni dopo. Ma non solo: il nazionalsocialismo fece degli Stati Uniti la più grande potenza scientifica del mondo grazie al piccolo esercito di scienziati ebrei che si rifugiarono negli USA e che qui continuarono a lavorare, facendo arrivare gli americani al top della fisica avanzata. Solo alcuni nomi: Hans Bethe, Albert Einstein, James Franck, Hermann Weyl, Otto Fritsch, Lise Meitner, Wolfgang Pauli, Leo Szilard, Edward Teller, John von Neumann, Eugene Wigner, Felix Bloch, Stanislaw Ulam. Dall’Italia, oltre a Enrico Fermi, Bruno Pontecorvo, Bruno Rossi ed Emilio Segrè. Insomma, ribadiamo il concetto: grazie proprio a Hitler, tra il 1933 e il 1939 gli Stati Uniti rimpiazzarono la Germania come principale centro mondiale per gli studi di fisica; il successo del Progetto Manhattan non dipese solo dalle enormi risorse di cui il paese disponeva, ma anche da questo, e in misura per nulla trascurabile.

Fissione nucleare
Una tipica reazione di fissione nucleare (CC BY-SA 4.0 MikeRun via Wikipedia).

Nel 1934 i coniugi francesi Fréderic e Irène Joliot-Curie scoprirono che era possibile creare artificialmente nuovi elementi chimici radioattivi bombardando un atomo pesante con particelle alfa, e poco dopo Enrico Fermi scoprì la radioattività artificiale bombardando vari elementi chimici con neutroni. Negli USA, Lawrence iniziò a usare il suo ciclotrone del Lawrence Berkeley National Laboratory, fondato nel 1931, per creare anche lui nuovi materiali radioattivi.

In quanto a Oppenheimer, finalmente, dopo l’ormai vecchio articolo sul principio di approssimazione di Born-Oppenheimer sulla funzione d’onda delle molecole, nel 1935 ebbe la soddisfazione di un nuovo lavoro riuscito e citato, scritto con la sua dottoranda Melba N. Phillips: il “processo Oppenheimer-Phillips” per la creazione di isotopi a mezzo cattura di nuclei di deuterio. L’esempio classico è il passaggio Carbonio 12 → Carbonio 13: quando un atomo di C12 viene bombardato da un deutone, cioè un nucleo protone-neutrone, il neutrone del deutone si combina con il C12 dando origine a un atomo di C13, mentre il protone viene emesso.

Nel dicembre 1938 i chimici Otto Hahn e Fritz Strassmann, del Kaiser Wilhelm Institut für Chemie di Berlino, avevano bombardato atomi di uranio con neutroni lenti (idea già avuta da Enrico Fermi e collaboratori nel 1934) e avevano scoperto che era stato prodotto del bario. Hahn era molto confuso sull’interpretazione di quanto fosse successo e scrisse alla fisica Lise Meitner, che aveva collaborato con lui prima di dover riparare in Svezia essendo un’ebrea austriaca (nel 1938 c’era stata l’Anschluss e l’Austria era diventata parte del Terzo Reich). Con la Meitner in Svezia c’era anche il nipote Otto Frisch. Zia e nipote teorizzarono quanto scoperto da Hahn: la “fissione nucleare”. La reazione era esotermica: l’energia di legame di protoni e neutroni sarebbe stata liberata, e inoltre sarebbero stati creati neutroni liberi che avrebbero potuto scindere altri atormi di uranio. La storia a questo punto si fa complicata, con Niels Bohr a portare la notizia ai colleghi americani prima della pubblicazione dei risultati, tanto che il 25 gennaio 1939 un team della Columbia University effettuò il primo esperimento di fissione nucleare negli Stati Uniti. La storia della fissione nucleare da Berlino a Hiroshima è troppo lunga e tortuosa per poterla affrontare qui, anche se Oppenheimer ne è protagonista assoluto; qui interessa invece il contributo di Oppenheimer alla fisica. Ma è il caso ora di raccontare un divertente quanto istruttivo aneddoto sulla psicologia di Oppenheimer fisico teorico.

Luis Alvarez a Gubbio
Più che per la sua carriera di fisico nucleare, Luis Walter Alvarez è oggi noto per aver ideato la teoria dell’impatto riguardo alla scomparsa dei dinosauri, o meglio l’estinzione di massa Cretaceo-Paleogene (K-Pg). Qui lo vediamo assieme al figlio Walter accanto allo limite stratigrafico K-Pg nella Gola del Bottaccione a Gubbio, nel 1981. Come è noto, l’insolita percentuale di iridio nello strato sedimentario ha portato Alvarez a pensare alla caduta di un meteorite. Alvarez all’inizio indicò l’Islanda come luogo dell’impatto, ma poi la scoperta del grande cratere di Chicxulub fece superare l’iniziale fortissima resistenza degli addetti ai lavori al lavoro di un “outsider” facendone la teoria oggi comunemente accettata (public domain via Wikipedia).

Il 29 gennaio 1939 il giovane Luis W. Alvarez, che lavorava al “Rad Lab” di Berkeley con Ernest Lawrence, mentre era dal barbiere lesse sul «San Francisco Chronicle» la notizia della scoperta della fissione nucleare. Alvarez non lasciò finire il barbiere e corse a perdifiato al Rad Lab. Quando la notizia giunse alle orecchie di Oppenheimer, questi ebbe una delle sue più divertenti tirate alla Sheldon Cooper per cui era famoso: se ne uscì con un «È impossibile!!», e corse subito alla lavagna a scarabocchiare conti per dimostrare che matematicamente la fissione non era fattibile, che sicuramente c’era stato qualcuno che aveva fatto un errore, ecc. In effetti c’era qualcuno che era in errore: lui. Chi scrive è convinto che a quel punto Alvarez debba aver pensato «eppur si muove» o qualcosa di altrettanto galileiano. Sia vero o no, fatto sta che Alvarez il giorno dopo fece quello che avrebbe fatto qualsiasi autentico fisico: ripeté l’esperimento, ed ebbe successo. Non solo Oppenheimer fece (quasi) subito dietrofront, ma gli venne in mente subito la possibilità di una reazione a catena e conseguentemente la possibilità di un uso militare della fissione [Bird-Sherwin, p. 206].

A questo punto si è soliti citare la lettera Einstein-Szilard a Roosevelt del 2 agosto 1939, ma in effetti è da dire che il vero lavoro sulla “bomba” iniziò grazie al memorandum del marzo 1940 di Otto Frisch e Franz Peierls, due transfughi tedeschi che lavoravano all’università di Birmingham. Frisch e Peierls dimostrarono che una reazione a catena esplosiva poteva essere ottenuta da un nucleo di materiale fissile abbastanza leggero da essere contenuto in una grossa bomba d’aereo. Cosa tutt’altro che scontata come può apparire oggi; nella lettera Einstein-Szilard era scritto testualmente «such bombs might very well prove to be too heavy for transportation by air», e a questa conclusione era giunto, sbagliando i calcoli, anche Werner Heisenberg.

(Public domain via Wikipedia)

SITOGRAFIA

Oltre ai libri, agli articoli e ai siti web citati nella prima puntata di questo articolo, si può anche vedere:
https://www.astrospace.it/2023/08/20/non-solo-il-padre-della-bomba-atomica-i-contributi-di-oppenheimer-allastrofisica/
http://wavefunction.fieldofscience.com/2018/05/the-birth-of-new-theory-richard-feynman.html
https://www.aif.it/fisico/biografia-subrahmanyan-chandrasekhar/