Adesso bisogna capire cosa è il “legendarium”. Tolkien aveva pensato, nel suo mondo interiore, ad una “mitopoiesi”, cioè alla costruzione di un mondo mitologico in sé coerente basato sugli archetipi dei miti antichi. Il “legendarium” era il termine usato da Tolkien per indicare tutto l’insieme delle sue narrazioni mitiche. In sé, il “legendarium” ha lasciato questa Terra, meno che di Mezzo, assieme al suo autore. Comunque, abbiamo gli scritti di Tolkien che del suo “legendarium” ci danno almeno una raffigurazione.
La nostra “Terra di Quarto”, come mi verrebbe voglia di chiamarla, è quella dominata da tutti coloro che a un INFP continuano a ripetere: «ma in che mondo vivi?».
Già solo le voci della Wikipedia inglese portano a collegamenti interessantissimi che però ci porterebbero veramente troppo lontano, addirittura al filosofo e psicologo tedesco Wilhelm Wundt. Quando avremo tempo, li esploreremo, ma per adesso è più importante andare avanti: siamo appena alla prima mezza dozzina di righe del librone.
Dopo la Guerra dell’Anello, King Elessar, alias Strider, concesse alla Shire un supplemento di territorio, consistente nelle terre dal vecchio confine occidentale delle Far Downs alle Tower Hills, le vecchie torri elfiche che per secoli gli Hobbit avevano visto con stupore e con timore. La terra «between the downs and the hills» diventò nota come il Westmarch, e come Buckland ad est, non faceva parte dei quattro Farthings. Per cui una traduzione ulteriore del titolo del “Red Book”, oltre che “Libro Rosso della Frontiera Occidentale”, potrebbe essere benissimo “Libro Rosso della Marca Occidentale”. Ricordiamo qui il significato non identico, ma ambiguamente sovrapponibile, tra “March” e “Mark”, significato con il quale il fine linguista Tolkien a mio parere sembra quasi voler giocare.
Il perché “Red Book of the Westmarch” è ricordato nelle Appendici: la figlia maggiore di Samwise Gamgee, Elanor the Fair, sposò Fastred of Greenholm e si trasferì nel Westmarch, abitando nel villaggio di Undertowers. Dopo il passaggio del padre oltre il Mare in quanto, seppure per poco tempo, egli si trovò ad essere un “Ring-bearer”, un portatore dell’Anello, Elanor e la sua famiglia diventarono i possessori del prezioso libro, che proprio del luogo dove era custodito finì per avere il nome.
Il “Red Book of Westmarch” era, nel mondo interiore di Tolkien (mondo che era una “finzione” o peggio una perdita di tempo solo per i suoi simili più prosaici, gli abitanti della “Terra di Quarto”), la versione scritta del suo “legendarium”. Il suo primo libro di successo, “The Hobbit”, del quale “The Lord of the Rings” è la continuazione e, una volta tanto, non un semplice “sequel” per monetizzare ulteriormente sulla fama del primo libro (anche gli INFP non vivono di solo Spirito Santo, anche se sono quelli che ne fanno più uso…), ma il suo capolavoro assoluto, era costituito da una selezione dei primi capitoli del “Libro Rosso”, scritti da Bilbo in persona.
Mi azzardo qui a citare l’intero passo in lingua originale, sperando che nessuno abbia da tirar fuori questioni di copyright e che questo nessuno capisca lo scopo di “fair use” e il diritto di citazione:
«This book is largely concerned with Hobbits, and from its pages a reader may discover much of their character and a little of their history. Further information will also be found in the selection from the Red Book of Westmarch hat has already been published, under the title of The Hobbit. That story was derived from the earlier chapters of the Red Book, composed by Bilbo himself, the first Hobbit to become famous in the world at large, and called by him There and Back Again, since they told of his journey into the East and his return; an adventure which later involved all the Hobbits in the great events of that Age that are here related».
Questo passaggio collegava nel “legendarium” lo “Hobbit” del 1937 al nuovo, poderoso libro del dopoguerra. Per inciso, il nome “Libro Rosso” deriva dal fatto che, nella fantasia di Tolkien, questo grosso e importante manoscritto aveva una copertina e una rilegatura di cuoio rosso.
Poiché però non tutti i lettori di “The Lord of the Rings” potevano aver letto “The Hobbit”, Tolkien inserì il suo Prologo dove fornisce una descrizione sommaria del popolo Hobbit che lascia molto intendere della sua indole e del suo rapporto piuttosto controverso con la modernità e la tecnologia. D’altra parte, l’escamotage del “manoscritto ritrovato” è comune in letteratura, basti pensare al famosissimo capolavoro di Alessandro Manzoni.
P.S. Non ho ancora “The Hobbit” in inglese, perché purtroppo per un disguido ho comprato la versione dello Hobbit a fumetti, opera degnissima e godibilissima, ma non era quello che volevo avere. Comunque poco male: “The Hobbit” in sé diventerà argomento di questa categoria di post tra molto, ma molto molto tempo, e per quella data avrò certamente avuto la possibilità di procurarmi una copia in lingua originale.
https://it.wikipedia.org/wiki/Legendarium
https://en.wikipedia.org/wiki/Tolkien%27s_legendarium
https://it.wikipedia.org/wiki/Wilhelm_Wundt
https://en.wikipedia.org/wiki/Mythopoeia_(poem)
https://en.wikipedia.org/wiki/Red_Book_of_Westmarch
https://en.wikipedia.org/wiki/Hobbit
https://en.wikipedia.org/wiki/Shire_(Middle-earth)