My Diary. My Unexpected Journey. There and Back Again. And
What Happened After.
Adventures of Five Hobbits. The Tale of the Great Ring, compiled by
Bilbo Baggins from his own observations and the accounts of his friends.
What we did in the War of the Ring.
THE DOWNFALL
OF THE
LORD OF THE RINGS
AND THE
RETURN OF THE KING
(as seen by the Little People; being the memoirs of Bilbo and
Frodo of the Shire, supplemented by the accounts of their friends
and the learning of the Wise.)
Together with extracts from Books of Lore translated by Bilbo
in Rivendell.
Ho iniziato a rileggere ancora questo libro, “The Downfall of the Lord of the Rings and the Return of the King“, meglio conosciuto come “The Lord of the Rings”, o ancora come LOTR per la mania anglosassone degli acronimi. Si tratta per me di una tipica lettura autunnale-invernale, ormai da diversi anni. Una cosa che mi dà soddisfazione, è che noto ogni volta un certo progresso nella mia capacità di leggere l’inglese, soprattutto rispetto alla prima volta che presi in mano il “librone rosso” di Allen & Unwin nell’ormai lontano 2007, portatomi da Londra da un mio collega della tipografia di Belluno (dove, per inciso, avrei fatto molto ma molto meglio a rimanere). Non voglio entrare nelle polemiche pseudo-politiche dell’ultima ormai famosa traduzione, ormai lo leggo in originale abbastanza bene anche se non riesco ancora a cogliere le sfumature linguistiche di cui è pieno.
Allora, salto “a pié pari”, come si diceva una volta, le varie introduzioni (vi tornerò a tempo debito) e inizio subito con il famoso Prologo (“Prologue”), dove Tolkien introduce il “popolo” (chiamiamolo così, con un termine politicamente neutro) degli “Hobbits”, che come si sa sono ispirati agli abitanti delle zone rurali inglesi. Il plurale è “hobbits”, anche se in una scena del secondo film di Jackson, “The Two Towers“, Gollum dice “Sneaky little hobbitses“, con “sneaky” che significa essenzialmente “subdolo”, “infido”. La scena è relativa al capitolo del libro “The Taming of Sméagol“.
Nella versione estesa dei film di Jackson, quella in blu-ray, il Prologo è presente, introdotto da un Bilbo che sta iniziando il suo libro, invecchiato rispetto alla trilogia “prequel”, anche se per il possesso dell’anello questo non dovrebbe essere, e infatti la scena della scoperta dell’anello nella famosa introduzione di Galadriel al primo film lo mostra più o meno così come era dopo sessant’anni dalla sua “avventura”. Accenno il fatto che il termine “adventure” è mutuato dal Beowulf, una delle grandi opere della letteratura epica germanica che hanno ispirato il “legendarium” (come lui lo chiamava) di Tolkien.
“Concerning Hobbits” è la prima parte del Prologo: «This book is largely concerned with Hobbits», sono le prime parole di tutto il libro. Tolkien accenna al “Red Book of Westmarch”, traducibile in italiano come “Libro Rosso della Frontiera Occidentale”. La traduzione è mia, come saranno anche i tentativi di traduzione in seguito; per favore non storcano il naso i professionisti. Qui cominciamo quindi un po’ di elucubrazioni linguistiche, a quel livello amatoriale che certamente darà fastidio agli addetti ai lavori. D’altra parte fermamente ritengo, in ogni campo, la professione del dilettante un lavoro estremamente nobile.
I termini “March” e “Mark” sono entrambi utilizzati da Tolkien; non vanno confusi, anche se linguisticamente hanno significati simili. Cominciamo da “March”. A parte i significati comuni di “marzo” e “marcia”, secondo lo Hazon Garzanti ha il significato primario di frontiera, confine, anche tra proprietà; a livello storico però, generalmente al plurale, quindi “Marches”, erano le regioni di confine, in particolare quella tra Inghilterra e Scozia. “Mark” ha il significato comune di “segno”, “marchio”, “voto scolastico”, del nome proprio “Marco” e della vecchia moneta tedesca. Ma nulla di questo ha a che fare con Tolkien; il vero significato va cercato nel c.d. “Middle English”, ovvero l’inglese parlato dal 1066, data della vittoria di Hastings da parte di Guglielmo il Conquistatore, fino al tardo XV secolo. “Mark”, “merk” o “merke” derivano dal c.d. “Old English” (o “Anglo-Saxon”, in quanto era la lingua degli antichi Angli e Sassoni che emigrarono in Inghilterra verso il V secolo) “mearc”, che aveva tutta una serie di significati. Tra questi “marchio”, “segno”, “linea di divisione”, “confine”, “limite”, “area delimitata”, “distretto”, “provincia”. L’accostamento del significato attuale di “marchio” con quello di “confine” non deve stupire, data l’usanza praticamente universale di delimitare i confini con dei “segni”, di solito dei cippi di confine appunto, in inglese “boundary marker”. E in effetti il nome “mark” deriva dal proto-germanico “*markō”, confine, cippo di confine, a sua volta derivato dal proto-indoeuropeo “*marǵ-”, bordo, limite, confine. Da cui anche l’italiano “margine”. Non possiamo non finire la disquisizione citando il termine italiano “Marca”, non nel significato commerciale corrente, ma in quello storico di distretto di confine, retto da un “marchese” (nei territori tedeschi “margravio”), creato in età carolingia e poi ereditato dal Sacro Romano Impero (germanico), dove era necessaria una forte presenza militare. Da qui noti nomi geografici, come la Marca Trevigiana o la regione delle Marche.
https://en.wikipedia.org/wiki/Tolkien%27s_legendarium
https://en.wikipedia.org/wiki/Beowulf
http://www.lone-star.net/literature/beowulf/beowulf.html
https://en.wikipedia.org/wiki/Red_Book_of_Westmarch
https://it.wikipedia.org/wiki/Libro_Rosso_dei_Confini_Occidentali
http://www.elamit.net/varie/tolkien_nomenclature.htm
http://www.soronel.it/TR0003.html
https://en.wiktionary.org/wiki/mark
https://en.wikipedia.org/wiki/Middle_English
https://it.wikipedia.org/wiki/Cippo_di_confine
https://en.wikipedia.org/wiki/Boundary_marker