Interstellar è un film del 2014 diretto da Christopher Nolan, che ha voluto fare qualcosa di più intelligente e scientificamente coerente rispetto agli standard di Hollywood (i vari Michael Bay, Ronald Emmerich ecc.). Per la sceneggiatura del film si è rivolto a Kip Thorne, allievo di John Archibald Wheeler (1911-2008), entrambi tra i maggiori esperti di relatività generale degli ultimi decenni.
Thorne, successivamente al film, ha fatto pubblicare un libro dove spiega la plausibilità scientifica del film, indicando quali cose sono scientificamente sicure, quali probabili e quali sono state piegate alle esigenze sceniche, dato che il regista aveva sempre l’ultima parola. Il libro si intitola La scienza di Interstellar. Viaggiare nello spaziotempo, e una volta tanto l’editore italiano non ha stravolto il titolo originale per renderlo più “clickbait”. L’editore è Bompiani (come riportato in copertina), l’edizione originale è del 2014 e la prima edizione italiana è del 2018. L’ho trovato in libreria a Venezia e, assieme a un’altra biografia di Oppenheimer (sto scrivendo qualcosa su di lui), l’ho comprato. Il libro è fatto per il grande pubblico generalista non infetto da astrofilia, e perciò è molto appesantito da spiegazioni elementari che dovrebbero essere patrimonio di un qualsiasi ragazzino delle medie.
All’epoca Interstellar non mi era piaciuto. Non lo avevo visto al cinema: come al mio solito avevo comprato il DVD appena disponibile, ma mi aveva deluso. Lo trovavo noioso e non comparabile con il mio film di culto, 2001: A Space Odyssey di Stanley Kubrick (come mai Interstellar fosse noioso e 2001 no, moltissimi non lo capiranno, ma poi ho scoperto perché).
Avevo avuto al tempo anche delle beccate piuttosto cattive via Facebook a proposito, con un tipo molto più giovane di me il quale ovviamente non conosceva 2001, film al quale pure Interstellar deve molto, e non serve un critico cinematografico per capirlo. Quella brutta discussione fu una delle cose che mi fecero decidere di lasciare i “social” – mi stavo accorgendo che, nonostante tutte le mie attenzioni, stavo inevitabilmente assuefandomi al genere letterario e senza accorgermene cominciavo a usarlo anch’io. Il fatto che alle figure dei “social” non si riesca ad associare una persona concreta fa sì che qualsiasi affermazione, anche considerata da chi la scrive innocente e scontata, possa sempre scatenare risposte offensive. Se si cede alla tentazione di rispondere per le rime, si scatena inevitabilmente la rissa. Arrivato al punto di dover cancellare i miei commenti, decisi di far basta e mandare al diavolo il genere umano virtuale. In qualità di “boomer”, so che si può vivere anche senza stare h24 attaccati a un telefono cellulare.
Il perché quel primo approccio a Interstellar fosse stato negativo l’ho capito in seguito. Nonostante la mia astrofilia, la trama mi era spesso criptica e soprattutto trovavo le musiche assolutamente orribili. Niente a che vedere, a mio parere, con le azzeccatissime musiche di 2001, diventate iconiche come in una delle scene più esilaranti di Big Bang Theory.
2001: A Space Odyssey Theme! TBBT S1E9 – Trovatevi il link su YouTube che non voglio né mettere foto coperte da copyright né scaricare biscotti di terze parti…
Se 2001 avesse avuto le musiche di Interstellar, probabilmente non lo avrei mai apprezzato quanto merita. Tra l’altro, proprio il simil-valzer di sottofondo nella scena dell’”Endurance” in orbita terrestre, una delle poche volte che la musica ha delle variazioni, è una delle tantissime citazioni di 2001 sparse per il film. Ovviamente qui ci sarà qualcuno che mi prenderebbe a parole sui “social” per quanto ho detto, ma questo è il mio blog e perciò è espressione dei miei gusti e delle mie convinzioni.
Poi mi sono ricordato che anche 2001 all’inizio mi aveva lasciato molto ma molto perplesso – scene astronautiche a parte – ed è diventato il mio film di fantascienza preferito solo dopo la lettura del romanzo omonimo di Arthur C. Clarke, che ne chiarisce la trama in modo illuminante. Ovviamente anche questa mia affermazione, che trovo inoppugnabile, visto oltretutto che Clarke scriveva il suo romanzo in parallelo con la sceneggiatura del film, ha provocato a suo tempo rampogne nei “social”.
Allo stesso modo, il libro di Kip Thorne mi ha fatto rivalutare Interstellar – musiche a parte – chiarendomi quello che della trama non avevo capito. Soprattutto riguardo alla natura e funzione del tesseratto (ipercubo): Cooper non può essere a quattro dimensioni perché soccomberebbe, non si trova nel tesseratto ma all’interno di uno dei suoi lati, in modo da preservare la sua tridimensionalità, e il tesseratto stesso è un “veicolo” per muoversi nello spazio a noi familiare, ed è per questo che alla fine del film Cooper viene “deposto” nel Sistema Solare in un luogo dove è piuttosto facile per gli umani del futuro recuperarlo. Dietro a Interstellar c’è stato un grande lavoro scientifico, nonostante lo stesso Kip Thorne abbia ammesso che tutte le volte che Nolan aveva esigenze sceniche per spettacolarizzare oppure per non confondere lo spettatore, è stato sempre Thorne quello a dover cedere.
Riguardo proprio alla teoria cosmologica sottesa dal film, una cosa all’inizio mi aveva lasciato stupito. Se c’è una cosa che ho capito fracassandomi malamente il cranio contro libri e articoli di geometria differenziale, è che la curvatura di una varietà (leggi spazio per i comuni mortali) a n dimensioni è intrinseca ed è data dal tensore metrico, non serve, anzi è fuorviante immaginarla immersa in uno spazio a n+1 dimensioni. Eppure Thorne parla di un iperspaziotempo, che chiama “bulk”, a più dimensioni rispetto alle solite quattro. Chiarisce poi lui stesso che nella sceneggiatura si è richiamato non solo alla relatività generale ortodossa ma anche alla teoria delle superstringhe, che parla di “brane” quadridimensionali (universi paralleli) all’interno di un “bulk” a più dimensioni (una specie di iperuniverso). L’unica interazione in grado di fornire una qualche comunicazione tra i vari universi è la gravità, da qui le “anomalie gravitazionali” che sono al centro della trama e, di contorno, la spiegazione che nel film viene data delle varie… “oscurità” del nostro universo osservabile.
Interstellar dipende comunque moltissimo da 2001, e non è forse esagerato dire che è un 2001 aggiornato alle vicende storiche e alle conoscenze scientifiche del primo ventennio del XXI secolo. In fondo, entrambi i film si basano sull’idea del “wormhole” e di una non meglio specificata civiltà avanzata che in qualche modo viene in soccorso all’umanità – in 2001 per migliorarla, in Interstellar per salvarla: gli anni Sessanta del secolo scorso erano indubbiamente più ottimisti. A proposito, il razzo che porta Cooper in orbita altro non è che il buon vecchio Saturn V, con un pelo, ma proprio un pelo di lifting. La cosa per me è voluta, perché è un richiamo a quando gli esseri umani guardavano con fiducia e positività al loro affacciarsi al cosmo.
Anche 2001 voleva essere scientificamente credibile, ma più dal punto di vista tecnologico – erano gli anni della “Space Race” – piuttosto che astrofisico: in fondo di buchi neri e wormhole si è iniziato a parlare molto nei decenni successivi. E poi anche Kubrick ha sacrificato molto alle esigenze sceniche.
Le citazioni di 2001 in Interstellar, come già detto varie volte, si sprecano: oltre al simil-valzer già citato, la scena dei videomessaggi, l’intelligenza artificiale (HAL e TARS), il dottor Mann che come Bowman cerca di entrare nell’astronave con il portello difettoso… e sia nella stanza di 2001 che nel tesseratto di Interstellar muoversi nello spazio significa muoversi nel tempo. E queste sono solo le citazioni che balzano agli occhi. E come in Interstellar c’è il tesseratto, nel libro di 2001 c’è il parallelepipedo 1:4:9 che, come dice Bowman, è chiaro che prosegue nelle altre dimensioni, 16:25:36:49:64:81… di più c’è solo il fatto che nel frattempo la relatività generale è diventata molto più presente nella cultura popolare. La scena del foglio di carta piegato e bucato con una matita è invece riciclata dal film del 1997 Event Horizon, dove Sam Neill dice che la più breve distanza tra due punti non è una linea retta, ma zero.
Intanto ho iniziato una nuova avventura fantascientifica che «you people wouldn’t believe» (1). Ho trovato su YouTube, sul canale Mosfilm (“Russian Cinema Masterpieces for all Mankind”), Solaris di Andrej Tarkovskij, il 2001 sovietico, in russo con sottotitoli in inglese, roba degna di Guidobaldo Maria Riccardelli. Una lentezza incredibile. È passata un’ora di film, compresi dieci minuti abbondanti di tangenziale moscovita senza alcuno scopo, e non è ancora successo niente. In confronto, 2001 sembra un film di Michael Bay. Sicuramente mi toccherà leggermi il romanzo di Stanislaw Lem per apprezzarlo! Ma la domanda sorge spontanea: non è che il… musicista di Interstellar abbia tratto ispirazione da Solaris?
Kip Thorne, Viaggiare nello spaziotempo. La fisica di Interstellar, Prefazione di Cristopher Nolan. Traduzione di Daniele Didero, Firenze/Milano, Giunti Editore S.p.A./Bompiani, © 2023, ISBN 978-88301-2006-8.
(1) «I’ve seen things you people wouldn’t believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion. I watched c-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate… All those moments will be lost, in time, like tears in rain. Time to die.» Di che film si tratta, un vero “cult” della fantascienza anni Ottanta, lascio trovarlo al lettore.
P.S. il tizio che ha disegnato il “Ranger” secondo me è partito dall'”Icarus” del Pianeta delle Scimmie.