Ci siamo lasciati ancora mesi fa alla vigilia dello scoppio della guerra di Corea. Siccome questa dovrebbe essere la seconda puntata del nostro excursus sulla crisi dei missili di Cuba, e non una storia della Guerra Fredda, che pure a spizzichi faremo, saltiamo a pié pari, come si diceva una volta, la Guerra di Corea, l’Indocina Francese e la crisi di Suez, e portiamoci a ridosso della crisi di Cuba vera e propria, cioè agli ultimi anni del secondo mandato di Eisenhower.
La dirigenza sovietica sapeva benissimo che la sua atomica e l’unico bombardiere disponibile per farle da vettore erano perfettamente analoghi all’accoppiata B-29/”Fat Man” che avevano annichilito Nagasaki nell’agosto 1945. Si trattava insomma di un “sistema d’arma”, come si iniziò a dire in quegli anni, adatto ad una deterrenza di teatro, ma del tutto insufficiente ad attaccare gli Stati Uniti continentali.
Non solo i Tupolev avrebbero dovuto affrontare il nuovo Air Defense Command che a partire dal 1950 si stava enormemente potenziando, ma sarebbe stata comunque una missione suicida di sola andata. Lo Strategic Air Command aveva invece l’imponente B-36, per abbattere il quale fu sviluppato il MiG-15. Il primo vero bombardiere intercontinentale sovietico sarà il Tupolev Tu-95 Bear, entrato in servizio nel 1956 e perciò contemporaneo del Boeing B-52.
Questa premessa ha lo scopo di far capire che da un punto di vista dell’aviazione strategica non c’era storia, e perciò l’URSS aveva bisogno di studiare un sistema alternativo per poter portare l’offesa nucleare negli USA. Questo sistema non poteva essere che il missile balistico. Ma c’erano enormi problemi tecnici da risolvere prima di poter arrivare dal primo missile balistico operativo della storia, la tedesca A-4 o V-2, che era un SRBM (cioè un missile a corto raggio, poco più di 300 km) ad un vero e proprio ICBM (cioè un missile strategico intercontinentale).
Ne possiamo citare alcuni. Prima di tutto, la miniaturizzazione delle testate termonucleari che nei primi anni Cinquanta erano dei mostri che solo il B-36 era in grado di portare, come la Mk 17 del 1954 da 15 megatoni che pesava 21 tonnellate. Poi, lo sviluppo della tecnica dei razzi multistadio e di motori abbastanza potenti da far raggiungere loro le elevate velocità suborbitali necessarie. Inoltre, occorreva realizzare un “veicolo di rientro” atmosferico con uno scudo termico, poiché l’apogeo della traiettoria avrebbe portato la testata ben al di sopra dell’atmosfera. E infine, last ma tutt’altro che least, la realizzazione di sistemi di guida inerziali avanzati, in grado di ridurre al minimo il margine di errore che il missile avrebbe potuto avere rispetto all’esatta posizione del bersaglio, e questo dopo un “viaggio” di circa 8.000 km. Per ovviare a questo inconveniente, per tutti gli anni Cinquanta furono studiati sia in USA che in URSS missili da crociera supersonici, che avrebbero garantito un migliore CEP (errore circolare probabile) con le tecnologie già disponibili. Il progetto più significativo di cruise supersonico degli anni Cinquanta è certamente il North American Navaho.