Il missile LTV ASM-135 ASAT (CC BY 3.0 Lorax via Wiki)

In genere gli appassionati pensano che le prime sperimentazioni americane di armi antisatellite risalgano agli anni Ottanta del secolo scorso, ai tempi di Ronald Reagan e della sua “Strategic Defense Initiative”, conosciuta dal grande pubblico come “Guerre Stellari”.

Il 13 settembre 1985 un McDonnell Douglas F-15A Eagle, pomposamente ribattezzato “Celestial Eagle”, lanciò un missile LTV ASM-135 ASAT nel corso di una forte cabrata. Lo sgancio fu immortalato da quella che divenne una delle foto aeronautiche più famose di quel decennio.

F-15 ASAT
Il lancio del missile LTV ASM-135 ASAT da parte di un F-15A il 13 settembre 1985 al Pacific Missile Test Range in California (USAF, Public Domain via Wiki).

L’ASM-135 era costituito, come succede spessissimo nella tecnologia missilistica, da componenti già esistenti, nella fattispecie un missile Boeing AGM-69 SRAM (“Short Range Attack Missile”) appaiato a un vecchio LTV Altair 3, quarto stadio del vettore leggero Scout ben noto agli appassionati italiani perché fu il vettore dei satelliti San Marco del prof. Luigi Broglio. In quanto allo SRAM, era un missile “stand-off” a traiettoria non balistica o semibalistica, che costituiva l’arma principale dei 76 General Dynamics (ex Convair) FB-111A che sostituirono i Convair B-58A Hustler nel 1970. Gli SRAM erano stati sviluppati per sostituire i più vecchi North American AGM-28 Hound Dog che armavano i B-52 Stratofortress. Il nome deriva proprio dalla famosa canzone di Elvis Presley.

FB-111 e SRAM
Il General Dynamics FB-111A S/N 67-163 armato con quattro AGM-69 SRAM. I punti sulla livrea dei missili servivano per un tracking più preciso dalle stazioni di osservazione a terra (USAF, Public Domain).

Questo “nuovo” missile distrusse il satellite P7B-1 Solwind, un pacifico satellite astronomico della serie OSO (“Orbiting Solar Observatory”), considerato “spendibile” dal Pentagono perché ormai in fin di vita. La cosa però suscitò lo stesso le ire di alcuni appartenenti alla comunità degli astrofisici, che sostenevano essere il satellite almeno in parte ancora utilizzabile.

Questo però non fu affatto il primo tentativo statunitense nel campo delle armi antisatellite. Ma prima approfitto dell’occasione per fare alcune considerazioni storiche.

Contrariamente a quanto si pensa comunemente, lo Sputnik 1 per certi versi fu una manna dal cielo per gli americani. E’ vero che fu una tremenda perdita d’immagine a livello popolare e soprattutto internazionale per gli Stati Uniti, in un momento in cui il c.d. “Terzo Mondo” era spesso in bilico tra i due blocchi. Ma dietro le quinte, lo Sputnik 1 risolveva all’allora presidente Eisenhower un problema non da poco.

Nel 1957 gli USA avevano già avviato il supersegretissimo programma Corona-Discoverer, che avrebbe dovuto portare ai primi satelliti da ricognizione (i “satelliti-spia” dei giornali). Ma come avrebbero reagito i sovietici al sorvolo del loro territorio da parte di un satellite? Basti pensare al famoso caso di Francis Gary Powers, il pilota della CIA abbattuto in territorio sovietico col suo Lockheed U-2C da un missile SAM S-75 Dvina (SA-2 Guideline) nel corso di una vera e propria imboscata aerea sui cieli di Sverdlovsk il 1° maggio 1960. Il vecchio diritto romano diceva che la proprietà di un suolo andava “usque ad sidera, usque ad inferos”: gli americani invece avevano bisogno che l’Unione Sovietica riconoscesse il diritto di sorvolo, ossia in pratica che acconsentisse a considerare le quote orbitali come delle specie di acque internazionali.

Viking sounding rocket
Il lancio del Viking 12 dal poligono di White Sands, il 4 febbraio 1955. Fu l’ultimo Viking lanciato da White Sands; i successivi partirono da Cape Canaveral (White Sands Missile Range Museum, Public Domain).

Convinti che il primo satellite artificiale, da lanciare nell’ambito del celebre Anno Geofisico Internazionale (IGY, International Geophisical Year, durato dal 1° luglio 1957 al 31 dicembre 1958), sarebbe stato loro, i vertici americani pensavano che un pacifico programma “civile” fosse il più indicato per realizzare il precedente di un sorvolo. Nella famosa “inter-service rivalry” degli anni Cinquanta tra aviazione, marina ed esercito USA, la prima aveva proposto di lanciare un satellite con il suo ICBM Atlas, che però era ancora sulla carta; la seconda aveva proposto una versione “stretched” del razzo-sonda civile Viking, battezzata Vanguard; e in quanto all’esercito, aveva fin dal 1956 proposto il “project Orbiter” di Wernher von Braun, ossia una versione del missile militare Redstone dotata di un “cluster” di razzi aggiuntivi come secondo e terzo stadio, basati sulla tecnologia dei missili tattici “Sergeant”. Ora, il programma più “civile” tra i tre era quello della marina, in quanto il vettore era basato su un razzo-sonda e non su missili militari destinati a portare bombe nucleari come carico bellico. La storia ufficiale vuole che l’Explorer I del JPL, lanciato da una versione del Redstone, la Juno I a sua volta basata su (e quasi sempre confusa con) lo Jupiter-C, abbia avuto via libera solo dopo lo Sputnik 2 di Laika per la testardaggine di Eisenhower; la verità invece è che, dopo aver lanciato due loro satelliti con un vettore derivato da un ICBM militare, furono gli stessi sovietici a togliere ad Eisenhower ogni problema “legale” per il Corona/Discoverer. A quel punto l’immagine nazionale diventava prioritaria e si poteva senza problemi dare via libera all’Explorer 1/Juno I.

Vanguard rocket
Il vettore leggero Vanguard (San Diego Air and Space Museum, Public Domain via Flickr).

Inoltre, anche l’Air Force si grattava le mani: Nikita Khruscev aveva iniziato a millantare centinaia di R-7 Semerka (SS-6 Sapwood) puntati sugli Stati Uniti (cosa che gli si ritorse contro, come vedremo, durante la crisi di Cuba). Il generale Bernard Schriever, a capo del programma USAF per i missili intercontinentali, ebbe buon gioco nel chiedere nuovi fondi per i propri ICBM Atlas e Titan ipotizzando quello che passò alla storia come il “missile gap”, e anche i democratici di Kennedy sfruttarono il “missile gap” nella loro campagna elettorale del 1960. Eisenhower sembrò allora al grande pubblico un personaggio ormai passato alla storia, inadeguato ai tempi nuovi che chiedevano un cambio radicale di politica. Ne fece le spese Nixon che dovette attendere altri otto anni prima di essere eletto presidente. Come abbiamo visto, Eisenhower in realtà ne sapeva più di quanto poteva sembrare; ma non poteva dirlo in giro.

Semerka
L’R-7 Semerka e alcuni dei vettori spaziali derivati (NASA, Public Domain via Wiki).

Solo dopo la caduta del “muro” si seppe che gli R-7 Semerka furono operativi in un numero ridicolo di esemplari (tra i 6 e i 12 a seconda delle fonti), e che questo missile era un disastro come ICBM tanto quanto si rivelò perfetto come vettore spaziale – e infatti, seppure ovviamente in versioni più moderne, continua ad essere utilizzato ancora oggi a ormai 63 anni dal suo primo volo.

Hound Dog missile
Un missile North American AGM-28 Hound Dog esposto allo United States Air Force Museum di Dayton, Ohio. L’Hound Dog fu costruito in tempi rapidi poiché molta della sua tecnologia era basata su un altro famoso missile della ditta, l’SM-64 Navaho (CC BY-NC 2.0 Kelly Michels via Flickr).

Schriever poteva adesso accelerare con i suoi ICBM, ma al granitico generale Curtis LeMay, prima vice e poi Chief of Staff (Capo di Stato Maggiore) dell’USAF, rimaneva il grosso problema di come “rivitalizzare” la grande flotta dei suoi amatissimi B-52, che garantivano allora il deterrente americano e che adesso apparivano di colpo obsoleti non solo di fronte agli ICBM, ma soprattutto ai SAM russi che costrinsero in fretta e furia gli occidentali ad utilizzare aerei pensati per il bombardamento ad alta quota come aerei da penetrazione a bassa quota. Una soluzione, temporanea ma molto efficace, fu quella di dotare i B-52 non solo di bombe nucleari a caduta libera, ma di missili “stand-off”: i già citati North American AGM-28 Hound Dog, considerati una soluzione “ad interim” in attesa degli ALCM (“Air Launched Ballistic Missile”) Douglas GAM-87 Skybolt (poi AGM-48). L’accoppiata Stratofortress / Hound Dog garantì il deterrente americano durante i brutti giorni di Cuba.

Stratofortress
Un Boeing B-52F decolla con due Hound Dog sotto le ali. Luogo e data sconosciuti. Il B-52 si è dimostrato uno degli aerei più versatili e longevi della storia dell’aviazione: si è avuto il caso di un giovane pilota dell’USAF che si è ritrovato a volare sui B-52 come il padre e il nonno (Public Domain).

Cuba in fondo se la volle Khruscev: bluffando sulla minaccia dei suoi ICBM, costrinse Eisenhower a schierare MRBM e IRBM in Europa (segnatamente gli Jupiter e i Thor, ma parlarne renderebbe l’articolo interminabile…) per ragioni di credibilità politica. A quel punto, per rendere la pariglia, e minacciare sul serio il territorio degli USA, il leader sovietico pensò di installare segretamente i propri MRBM/IRBM a Cuba, dove dal 1959 era al potere Fidel Castro. Ne venne fuori la crisi più pericolosa di tutta la guerra fredda. Khruscev fin dal 1957 sapeva di bluffare, e il “vedo” di Kennedy nell’ottobre 1962 lo lasciò a carte scoperte. Non per niente la crisi di Cuba fu uno dei motivi principali della sua caduta nel 1964 e della sua sostituzione con Leonid Breznev. Proprio col motto di “mai più un’altra Cuba”, Breznev iniziò un poderoso programma di potenziamento delle RVSN, le forze missilistiche strategiche di terra sovietiche. Per fermare questa corsa agli armamenti che stava diventando economicamente rischiosa per entrambi i contendenti (i sovietici iniziavano ad avere un’economia stagnante e gli americani si stavano dissanguando in Vietnam), nel maggio 1972 fu firmato il SALT I, il primo trattato di limitazione delle armi strategiche tra USA e URSS.

Minuteman I
Un Minuteman I prima di un lancio di test. Luogo e data sconosciuti (USAF, Public Domain via Wiki).

I missili balistici intercontinentali, nonostante fossero apparsi già nel 1957, richiesero almeno altri cinque-sei anni per maturare come arma; i due problemi più importanti che dovettero essere risolti furono 1) passare da propellenti liquidi del tipo LOX/RP-1, eccezionali per un vettore spaziale ma pessimi per un missile militare, a propellenti “storable” a temperatura ambiente, liquidi ipergolici (soprattutto per i sovietici) o meglio ancora solidi (tecnologia nella quale i sovietici ebbero all’inizio qualche problema), e 2) garantire la sopravvivenza del missile ad un attacco “first-strike”, alloggiandolo in uno “shelter” corazzato che facesse anche da rampa di lancio. Gli americani, con i Minuteman, risolsero brillantemente entrambi i problemi. Ma i bombardieri B-52 mantennero la loro credibilità come deterrente nucleare fino a circa metà anni Sessanta, cioè finché gli ICBM di seconda generazione, come i Minuteman, e gli SLBM tipo Polaris non raggiunsero la piena capacità operativa in quantitativi apprezzabili. A quel punto i bombardieri B-52 diventarono solo una delle componenti, e nemmeno la più importante, della c.d. “triade nucleare”.

Skybolt missile
Il Douglas GAM-87 / AGM-48 Skybolt esposto al Royal Air Force Museum di Cosford sotto l’ala di un Avro Vulcan (CC BY-SA 2.0 Michael Garlick, geograph.org.uk)
Polaris A-3 e A-1
Un SLBM Polaris A-3 esibito all’USS Bowfin Submarine Museum di Honolulu. Dietro a sinistra, un Polaris A-1 (CC BY-SA 3.0 J_JMesserly via WikiCommons).

Detto tutto questo, torniamo al problema dell’Air Force di “rivitalizzare” con nuove armi la sua pingue flotta di Boeing B-52 Stratofortress. La soluzione più logica era quella di farne dei vettori di missili balistici: abbiamo già citato l’ALBM Skybolt, che avrebbe dovuto diventare l’arma principale dei bombardieri strategici sia dell’USAF che della RAF. La cancellazione di questo missile da parte del vulcanico Segretario alla Difesa di Kennedy, Robert Strange McNamara, provocò una crisi diplomatica tra Stati Uniti e Regno Unito, che con gli Skybolt avrebbe dovuto armare i propri bombardieri strategici Vulcan. Con il “Nassau Agreement” del dicembre 1962 Kennedy acconsentì a fornire alla Royal Navy gli SLBM Polaris A-3 per la nuova classe di SSBN britannici “Resolution”. Una riprova della famosa “special relationship”. La cosa fu presa male, per inciso, dalla Marina Militare Italiana, che aveva dotato l’incrociatore “Garibaldi” di quattro pozzi per missili Polaris mai forniti dagli USA, e che arrivò così a far sviluppare un SLBM indigeno, l’Alfa, testato in volo a metà anni Settanta e poi abbandonato nel 1975 quando l’Italia aderì al Trattato di Non Proliferazione Nucleare, su diretta pressione degli Stati Uniti.

Con questo finisce la prima parte dell’articolo, che già sta diventando troppo pesante per un blog. La seconda parte tratterà finalmente del Bold Orion e dell’High Virgo.